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FIORDALISI E PAPAVERI

In un contesto sociale e culturale in cui si vanno affermando i princìpi di sostenibilità ambientale è opportuno valutare l’impiego di alternative più naturali al tappeto erboso formale.

18 nov 2021 Le ultime sui giardini - Tempo di lettura: min.

Busto Arsizio Varese

Non esiste "il prato". Esistono invece infinite tipologie di prato, per origine, composizione, esposizione, collocazione, condizioni pedoclimatiche e microclimatiche, stagionalità e intensità di calpestamento (e forse altro ancora). Perciò sollevano perplessità le generiche ricette per la cura e il mantenimento "del prato".

In modo un po' arbitrario e grossolano, ma che aiuta a chiarire le idee, si possono distinguere quattro diverse tipologie di prato, rispetto alla sua origine e al suo mantenimento: "prato naturale", "prato naturalistico", "prato naturalizzato" e "tappeto erboso", in ordine decrescente di "naturalità".

Il prato naturale è quello che si origina "spontaneamente", senza un esplicito intervento antropico per controllarne le caratteristiche. Ho virgolettato l'avverbio perché la vera spontaneità è molto rara: normalmente questo tipo di prato si forma in seguito a pratiche colturali o zootecniche, in assenza delle quali evolverebbe in bosco; quindi è "naturale" sono nel senso che le sue proprietà specifiche non sono intenzionali.

Il prato naturalistico è un ambiente creato specificamente allo scopo di apparire naturale, quindi in sostanza differisce dal prato naturale proprio per l'intenzionalità dell'intervento. È ottenuto distribuendo miscugli di semi provenienti da erbe spontanee. Il recente progetto Fiorume 2.0 (https://www.fondazioneminoprio.it/progettielenco/fiorume2-0/, https://www.ilverdeeditoriale.com/atti/Fiorume2.0/Ceriani%20-%20Fiorume%202.0.pdf, https://www.ilverdeeditoriale.com/Fiorume2.0.aspx) si è occupato proprio delle questioni operative e commerciali legate alla raccolta di semi provenienti da prati donatori opportunamente selezionati (compresa la certificazione di prodotto) e all'utilizzo di questi in vari ambiti, soprattutto di ripristino ambientale ma non escludendo altri impieghi (ad esempio di tipo ornamentale, in parchi e giardini). Ma già nel 2006 era stata avviata una sperimentazione all'interno del Parco delle Cave e di Boscoincittà, guidata dal Centro Forestazione Urbana di Italia Nostra con importanti collaborazione (si veda per i dettagli "Prato di papaveri e fiordalisi"). I fiori di campo "di una volta" sono stati seminati in parcelle di colture cerealicole, soprattutto a lato di grandi vie di comunicazione, ottenendo pregevoli effetti scenografici.

Il prato naturalizzato nasce invece come prato formale e viene poi "incoraggiato" a evolvere verso la naturalizzazione. In giardini adiacenti a boschi o campagne questa trasformazione può avvenire senza interventi attivi, perché i semi che giungono dall'intorno provvedono automaticamente allo scopo. Altrimenti si può procedere a periodiche trasemine con fiorume o altre miscele di erbe spontanee. Quindi, rispetto al prato naturalistico è diversa la partenza ma è uguale l'arrivo.

Il tappeto erboso in stile inglese è l'unico tipo di prato che non contiene questa parola nel suo nome. La ragione è che nel nostro Paese, ben diverso nel clima (o meglio: nei climi) dalle isole britanniche, costituisce una formazione tanto artificiosa che si fatica a chiamarla "prato". Personalmente, sono disposto a riconoscere al tappeto erboso solo poca più naturalità del prato sintetico, che è il killer dei giardini. Ma siccome non mi piace la filosofia del "senza se e senza ma", voglio riconoscere al prato inglese, e perfino al prato sintetico, qualche ragione di esistere.

Un caso eclatante di impiego giustificato del tappeto erboso è il Parco Sigurtà a Valeggio sul Mincio. Lì il maestoso paesaggio creato dal prato formale in pendenza che indirizza lo sguardo alla quinta arborea sullo sfondo non sarebbe così potentemente suggestivo se al posto del curatissimo manto verde ci fosse un prato naturalistico. Quanto al sintetico, può trovar posto magari nell'angolo di un terrazzo, dove sarebbe inopportuno creare pochi metri quadrati di prato vero (non fosse altro che per la movimentazione del tosaerba) e d'altra parte un fazzoletto erboso, anche se finto, alleggerirebbe visivamente l'insieme. Ma dopo questo estremo sforzo di tolleranza, non mi si può proprio chiedere di più…

Riprendendo il punto iniziale, osserviamo che le prescrizioni generalizzate per la gestione del prato, anche se spesso non dichiaratamente, sono quasi sempre relative proprio al tappeto erboso. Ma anche limitandosi a quest'ultimo, sorgono molti distinguo. Mi pare evidente che non possano essere trattati allo stesso modo tappeti erbosi soggetti a diversissime condizioni: collocati al nord, al centro o al sud Italia; in pianura, in collina o in montagna; all'interno o vicino a un litorale; su suolo sciolto o compatto; in zone secche o piovose; in mezz'ombra o in pieno sole; in città o in campagna; con scarso o intenso calpestamento. E inoltre in periodi diversi dell'anno, nonché in anni diversi, quando importanti condizioni cambiano con l'evoluzione del giardino a cui il prato appartiene. Perciò le ricette generaliste, che oltretutto comportano un grande impiego di risorse, lasciano un po' il tempo che trovano.

Sarebbe cosa buona e giusta proporre, da parte del progettista, e accettare, da parte del committente, alternative più naturali all'energivoro tappeto erboso formale, che i sempre più pressanti requisiti di sostenibilità ambientale rendono quanto mai inappropriato e anacronistico.

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