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CARTA CANTA

I requisiti tecnici nei concorsi per progetti paesaggistici sono a volte confusi, tortuosi e incongruenti, perché riferiti alla carta sebbene in un contesto digitale.

20 dic 2021 Le interviste di Guidagiardini.it - Tempo di lettura: min.

Busto Arsizio Varese

Ormai le tavole di progetto devono essere inviate ai concorsi in forma elettronica raster, o bitmap (che sono sinonimi), cioè a pixel (si veda ad esempio l'articolo "Facciamo il punto"), ma a volte vengono imposti dei requisiti che hanno senso soltanto per una forma a stampa. Dai tempi in cui gli elaborati grafici si stampavano su carta e, più avanti, si visualizzavano su monitor che ancora si adeguavano al mondo della stampa, ci pervengono i due standard di "qualità" (nitidezza) più popolari, a risoluzioni di 72 e 300 DPI, dove DPI significa dots per inch, ossia "punti di inchiostro" (dots) per pollice (inch, in sigla "in"). Può capitare addirittura che la stessa tavola sia richiesta in entrambi gli standard. In ogni caso, non si può ovviamente parlare di "punti di inchiostro" per delle immagini digitali, per le quali le unità elementari sono invece i pixel. Purtroppo molti usano il termine dot in luogo di pixel, e quindi DPI in luogo di PPI (pixels per inch): è decisamente scorretto perché, a parte la diversa natura, materiale per i dot e virtuale per i pixel, tra i due tipi di "punti" non c'è corrispondenza (se non occasionale).

I DPI sono una proprietà intrinseca di un'immagine a stampa, mentre i PPI non lo sono per un'immagine raster. Questa fondamentale differenza deriva dal fatto che un'immagine stampata ha sia dimensioni fisiche sia numero di dot definiti e inalterabili (un foglio non si può comprimere o stirare) e quindi è definito anche il suo valore di DPI; invece per una bitmap è definito il numero di pixel da cui è composta, ma l'immagine si può ingrandire o rimpicciolire a piacere sullo schermo di un computer, cambiando così le sue dimensioni fisiche e con esse i PPI. Questa è precisamente la ragione per cui è appropriato stabilire un valore di DPI (risoluzione grafica) per una stampa, mentre non ha senso richiederlo per una bitmap, nemmeno se (scorrettamente) si considera DPI sinonimo di PPI. Per una bitmap bisogna invece definire il numero assoluto di pixel, che è il suo parametro invariabile; in altre parole, occorre specificare quanti sono i pixel in larghezza e quanti i pixel in altezza, e non quanti sono i pixel per unità di lunghezza (PPI). Uno schermo costituisce un terzo caso: è definito da pixel, come una bitmap, ma è indeformabile, come una stampa, perciò è appropriato stabilire un valore di PPI come sua risoluzione grafica.

Quando ad una bitmap si associa l'informazione di un dato valore di DPI, significa che si intende stampare l'immagine a quella risoluzione. Si può in tal caso convenire, ad esempio, che ad ogni pixel della bitmap corrisponda un dot della stampa. Facciamo un esempio pratico. Supponiamo di avere un'immagine di 1280 px per 1024 px e di volerla stampare alla risoluzione di 86,7 DPI, ovvero 3,41 dot per millimetro (mm), convenendo di avere un dot per pixel. Allora i 1280 pixel del lato maggiore della bitmap genereranno altrettanti dot sul lato maggiore della stampa, i quali occuperanno 1280/3,41=375 mm; analogamente, per il lato minore si avrà 1024/3,41=300 mm. Quindi l'immagine digitale genererà una stampa di 375 mm per 300 mm con la risoluzione richiesta di 86,7 DPI.

Le considerazioni fatte per la risoluzione grafica valgono anche per la scala di riproduzione di una planimetria. Ha senso parlare di scala solo per un supporto non deformabile, come la carta, ma in un'immagine digitale, che può essere ingrandita o rimpicciolita a volontà, la scala varia a piacere. Perciò non ha nessun senso richiedere che delle planimetrie in forma digitale siano fornite a una data scala, o con un dato formato-foglio. Avendo i dati tipici del cartaceo (scala e formato-foglio), il problema dell'indeterminazione della scala in digitale si può risolvere indicando la scala ipotetica che avrebbe la planimetria se fosse stampata su un ipotetico foglio di un ipotetico formato (ad esempio, scala 1/200 in A3 verticale); ma anche, in modo più semplice e diretto, si può includere nel disegno un "righello", come si fa quando si fotografa un reperto archeologico o forense.

Certo, se vengono specificati sia la scala sia i DPI, per quanto concettualmente illogico, nonché a patto di considerare PPI i DPI, allora possono essere calcolati i pixel: infatti "basta" moltiplicare i DPI per il fattore di scala (ad esempio 1/500), poi per il fattore di conversione tra pollici e unità di lunghezza usata per il territorio mappato (ad esempio 39,37 pollici per metro) e infine per la dimensione reale del territorio mappato (ad esempio in metri). L'operazione va fatta due volte, per le due dimensioni dell'immagine. Si capisce bene perché ho virgolettato il "basta".

Si può fare un calcolo simile per le tavole architettoniche generali. La differenza pratica è che i pixel nelle due dimensioni della tavola, larghezza e altezza, si calcolano moltiplicando i DPI per il fattore di conversione tra pollici e unità di lunghezza della tavola (ad esempio 0,03937 pollici per millimetro) e poi per l'una o l'altra delle due dimensioni del formato richiesto (ad esempio 594 mm in larghezza e 420 mm in altezza per un formato A2 orizzontale).

Nell'uno e nell'altro caso appare evidente che sarebbe molto più logico, molto più chiaro e molto più semplice se chi detta le regole di un concorso dichiarasse direttamente i pixel richiesti.

CARTA CANTA

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