Questa tecnica prende spunto da una tribù della selva indiana, i Khasi, che sempre hanno approfittato delle radici aeree di determinate specie di alberi per formare differenti strutture -non solamente piccoli rifugi ma anche ponti per poter attraversare fiumi o varchi-.
Uno dei precursori del suo sviluppo è stato il dottor Gerd de Bruyn che creò nel 2007 l’area della Baubotanik nell’Istituto per la Teoria dell'Architettura (IGMA) dell’Università di Stuttgart. Il suo obiettivo è fomentare le ricerche in questo ambito da un punto di vista multidisciplinare, facendo partecipare sia specialisti in botanica e scienze naturali sia ingegneri e architetti.
Nonostante l’obiettivo di questa tecnica sia “animare” le costruzioni rendendole completamente sostenibili, gli esperti sono coscienti del fatto che i progressi possono essere fatti solamente combinando materiale inerte con i benefici che apportano le piante.
Per ottenere questi benefici è fondamentale che le costruzioni riuniscano una serie di caratteristiche che possano favorire la crescita e la manutenzione delle piante -spazi aperti e luminosi per facilitare la ricezione dei nutrienti necessari, evitare l’uso di sostanze che potrebbero danneggiarle, ecc.- oltre a garantire ovviamente la sicurezza e stabilità dell’edificio.
In questo modo si è scoperto che per esempio non tutti i tipi di alberi sono adatti per la baubotanik e che ci sono spazi e climi più favorevoli di altri per creare edifici o installazioni che utilizzino questa tecnica.
Gli sviluppi pratici per integrare questa tecnica nella costruzione sono ancora relativamente poco estesi e sembra lontano il momento in cui la baubotanik diventerà un sistema utilizzato in maniera costante nelle costruzioni.
Nonostante ciò, la crescente preoccupazione per l’ambiente e per la sostenibilità assoluta delle città e le strutture sono fattori che, senza dubbio, causano un interesse crescente per questa tecnica e un aumento delle ricerche in questo ambito.